Il nome di Dionisio I di Siracusa ai più potrebbe non suscitare nulla; per i liceali, qualche vago ricordo legato ad aneddoti come la famosa “spada di Damocle” o alle assurde fobie del paranoico personaggio, che si faceva radere la barba con dei carboncini dalle figlie, temendo attentati contro la sua vita. I lettori del romanzo “Il Tiranno” di Valerio Massimo Manfredi ricorderanno forse una figura più complessa, tratteggiata nel conflitto fra la perdita degli affetti personali e la titanica volontà di conseguire l’obiettivo di tutta la vita: riunire i Greci di Sicilia e guidarli contro il nemico di sempre, Cartagine, anche a costo di costringerli e di sacrificare la propria umanità dietro alla fredda maschera del potere.
Confesso di avere scoperto la figura di Dionisio da ragazzino proprio sulle pagine di Manfredi, restando abbagliato dal tragico ritratto che la penna del divulgatore e romanziere storico aveva dipinto, inserito in un mondo di splendide città, amori e odi totali, battaglie in cui centinaia di triremi e migliaia di soldati si affrontavano in scontri di proporzione quasi leggendaria e sogni d’eroismo omerico che morivano di fronte al procedere implacabile della storia. Mi colpì particolarmente l’immagine delle sculture del grande tempio di Zeus ad Agrigento che acquisiscono tragico realismo, lambite dalle fiamme appiccate dai conquistatori punici.
Ho riletto varie volte per svago Il Tiranno, chiedendomi sempre più spesso come di un personaggio da cui era stato possibile trarre una storia di tale potenza ed intensità, restasse solo qualche distratto cenno sui libri scolastici e una memoria completamente negativa, conservata nei testi da cui si traevano le versioni da tradurre, spesso senza nemmeno un inquadramento storico-culturale (tragico difetto dei licei, in cui si somministrano a volte brani come pillole solo per verificare la grammatica, senza curarsi per nulla del contenuto e del loro significato ideale). Chi era dunque davvero Dionisio I?
Gli studiosi di storia greca possono dire che fu un giovane e brillante ufficiale che, tramite tecniche demagogiche, si fece tiranno di Siracusa nel 406-5 a.C., mantenendo il potere per trentotto anni, fino alla sua morte avvenuta nel 367. In questo lungo periodo represse ogni rivolta, sconfisse i suoi rivali all’interno del mondo greco coloniale, combatté cinque durissime guerre contro Cartagine, riducendo il dominio punico all’estrema punta occidentale della Sicilia. Odiato da coloro che professavano nella libertà della polis il valore fondamentale della grecità, dileggiato dagli stessi per i suoi, a volte maldestri, tentativi letterari (scrisse alcune tragedie), equiparato al Gran Re di Persia per la potenza del suo impero, che aveva basi persino nell’Adriatico e in Epiro, controllava la Calabria e si protendeva persino nel Tirreno, in funzione anti-etrusca, divenne presto una sorta di monstrum negativo, soprattutto per la tradizione accademica e platonica. Gli allievi di Platone non avevano probabilmente apprezzato il fatto che il signore di Siracusa si fosse stufato dei consigli del loro maestro e l’avesse fatto prontamente vendere come schiavo, condizione da cui era stato riscattato dai suoi seguaci. A rafforzare l’immagine negativa del personaggio, contribuì lo storico Timeo di Tauromenio, che trasmise una versione totalmente negativa di Dionisio, oppressore dei cittadini, incapace di vincere i Cartaginesi e colpevole di non dar mai loro il colpo di grazia, pur di mantenere il timore dei barbari fra i suoi sudditi e così la giustificazione della sua tirannide. Timeo è confluito nell’unica fonte continuativa rimasta su Dionisio, cioè Diodoro Siculo. Gli studiosi hanno però rintracciato, sotto la base timaica ostile, le tracce di una storia elogiativa del condottiero siracusano, cioè l’opera di uno dei suoi amici e collaboratori, Filisto, che ci fa intravvedere una visione completamente diversa del tanto vituperato tiranno. Lo storico filodionisiano infatti faceva del signore di Siracusa un eroe della grecità, sorta di sovrano eletto regolarmente da larghe fasce di cittadini, deus ex machina inviato dagli dei per salvare i Greci d’occidente dall’annientamento subito già da molte città elleniche per mano degli implacabili barbari. Costruttore di un solido stato territoriale, governante illuminato circondato da un gruppo di ottimi e nobili collaboratori, capo militare deciso e capace, in contrasto con la gestione incompetente della guerra operata dalla democrazia precedente al suo colpo di stato. In base a tale visione, Dionisio sembrerebbe quasi assumere la statura di un precursore dei re ellenistici e, per taluni limitati aspetti della gestione dello stato, persino di Roma.
Indagare tali aspetti in questo breve articolo è ovviamente impossibile; mi preme soltanto dare un’immagine, per quanto incompleta e personale, di un personaggio che sarebbe, a mio parere, degno di maggiori studi anche nei licei, dato che non fu in nulla inferiore ad un Pericle o ad un Lisandro, di cui però studiamo maggiormente le gesta. C’è un frammento di Timeo, di cui esisteva la corrispondente versione di Filisto, in cui una sacerdotessa di Imera sogna un giovane di capelli e barba rossicci incatenato al trono di Zeus: egli sarebbe l’alastor, cioè il flagello della Sicilia e dell’Italia che, una volta liberato, avrebbe oppresso e distrutto molte città. La versione originaria dello storico filodionisiano sosteneva in realtà proprio il contrario: l’alastor sarebbe il vendicatore dei Greci oppressi dai Cartaginesi, il salvatore del mondo ellenico d’occidente. Mi piace pensare che l’immagine possa essere suscettibile di entrambe le interpretazioni, e che in realtà un’ambiguità di fondo avvolga questo personaggio, capace di suscitare odi viscerali e straordinaria ammirazione come solo le grandi personalità della storia hanno fatto, ambiguità che può essere studiata e approfondita, ma che in fondo rimarrà sempre tratto tipico di una figura che si staglia titanicamente sullo sfondo di un mondo in crisi e immerso in cambiamenti epocali.
Mr. Nobody
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Bertolt Brecht (1898 - 1956), L'Opera da tre soldi (Die Dreigroschenoper), atto III
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