Da almeno 5 anni a questa parte l’Europa politica (l’Unione Europea, cioè il costrutto finanziario e non l’Europa “reale”) è sottoposta a tre spinte disgregative convergenti, una da sud, una da est e una dal centro. Queste tre crisi sono: la disgregazione (foraggiata o meno) dell’ordine politico nel mondo arabo-africano venutosi a creare dopo la fine dell’URSS e contestuale assalto alla Siria di Assad, l’inceppamento del motore europeo indipendentemente dalla crisi economica globale, e la rinascita di un fronte orientale con Mosca, quasi chiuso nel decennio 1998-2008.
Queste tre spinte diventano particolarmente potenti nella parte sud-orientale del Mediterraneo, dove un paese come la Grecia, statualmente debole e ridotto negli anni a frontiera discrasica della NATO sul mondo mediorientale, soffre le infiltrazioni dei tre processi sopracitati.
La Grecia, come capitalismo esile ed esposto agli equilibrismi monetari e politici (mancando di un comparto industriale di una certa consistenza e un economia legata al turismo) ha subito sentito i contraccolpi della crisi tricefala che ha smosso le acque dal 2010 circa in poi. Il risultato ovvio è stata la progressiva debolezza del governo greco, che fino alla vittoria di Syriza (25 Gennaio 2015) aveva colpevolmente rinunciato ad opporsi alla progressiva sostituzione delle agenzie eurocratiche allo Stato legittimo greco.
La presidenza Tsipras, dichiaratamente riformista, non ha quindi smagnetizzato la Grecia attivamente, ma il suo governo ha labilmente intepretato un processo popolare endogeno, che porta la Grecia fuori dalla dicotomia Europa-Euro, verso però lidi ignoti. Tsipras non ha saputo far altro che prender tempo, e flirtare con la Russia, che vanta da molti anni un ottimo rapporto con la Grecia post-Euro.
La discrasia tra il processo endogeno del tutto comprensibile (stante il fallimento totale della cura-Troika) e l’attendismo di Tsipras e Varoufakis ha portato la Grecia in un limbo in cui i tre aspetti della statualità greca, Militarismo (A), Diplomazia (B), e Burocrazia (C), prendono strade diverse.
In questo contesto di caos, in cui la Troika detiene il pallino del gioco (giacchè ha molte armi con cui ricattare Atene) si sono fatte strade in alcuni gruppi di contropensiero antiatlantista lontane prospettive di un avvicinamento della Grecia ai BRICS, soprattutto dopo il viaggio di Tsipras a Mosca (8 Aprile), con contestuali contumelie tedesche. Un avvicinamento che però pare appartenere alla fantasia, soprattutto se da un piano economico-monetario (adesione alla Banca dei BRICS) ci si sposta su un piano di corposità politica, con la Grecia che entra nell’Unione Eurasiatica promossa da Mosca.
La discrasia che ricordavano poc’anzi tra l’effettivo corso del paese-Grecia e l’attendismo dei suoi governanti, non giustifica uno scatto centometristico verso lo scioglimento dei legami formali con l’Euro-Occidente e un involata verso le pianure eurasiatiche. Alla realtà socio-economica popolare si contrappone un governo che, seppur spregiudicato, appare pienamente inserito nella logica eurocratica di mantenimento dello status quo, e francamente incapace di dare uno strappo al declino in cui, da solo, ha voluto porsi in compagnia (“La Grecia non uscirà dall’Euro” ripeteva Tsipras in campagna elettorale, e ha continuato a ripeterlo anche una volta presidente).
Vediamo alcuni motivi per cui un effettivo avvicinamento della Grecia ai BRICS e in particolare all’Unione Eurasiatica promossa da Mosca.
A) Da un punto di vista militare l’esercito è ridotto ai minimi termini, per svariati ragioni. Storicamente, dopo la soppressione della dittatura militare dei colonnelli (1975) l’esercito è stato rigidamente controllato dagli apparati civili, e il ridotto zoccolo demografico/economico è dissanguato per mantenere una coltre militare con la Turchia (sebbene siano frequenti passaggi di personale di grado all’interno delle logiche NATO tra i due paesi) e un presidio ad alto valore aggiunto a Cipro sulla linea che divide l’isola tra la Grecia e la Turchia. La recente crisi economica ha accellerato questi processi, e ormai l’esercito greco è ridotto ad un agenzia di controllo immigrazione. Seppur di robusta cultura ortodossa e genericamente ben disposto verso Mosca, culturalmente parlando, la marina (il comparto più strutturato) e l’aviazione sono terreno di caccia della NATO. Non da ultimo la Grecia ha partecipato ad Ottobre 2014 ad un esercitazione generale NATO nel Mediterraneo (chiarendo quindi la sua eventuale partecipazione ad una cordata anti-siriana o anti-russa). Uno spiraglio verso un futuro filorusso potrebbe essere l’accordo con Mosca, nonostante le sanzioni, per alcuni pezzi di ricambio per sistemi di difesa aerea, siglato a Dicembre 2014. Tuttavia sia la non sponsorizzazione dell’accordo sia la relativa pochezza dello stesso lasciano pensare che esso sia solo normale routine, normale scambio tecnologico nell’ambito militare.
In generale la mancanza di peso dell’esercito nella catena di montaggio nelle decisioni politiche e l’ingerenza, anche economica, degli USA sul comparto militare (nel 2010 gli Stati Uniti hanno venduto il 42 % degli armamenti necessari ai greci, seguiti da altri due paesi NATO, Francia e Germania) impediscono che il comparto militare e in generale l’esercito possano essere un reale pungolo verso l’Unione Eurasiatica.
B) La Grecia è un paese diplomaticamente diviso tra un lontano legame ortodosso e un presente mediterraneo-occidentale. Legata a doppio filo alla militanza NATO della Turchia, con la quale forma un tutt’uno strategico (tanto che furono proprio gli States a premere perchè entrassero insieme nella NATO, nel 1952, durante il primo allargamento). L’unica vera faglia militare, quella con la Turchia (giacchè quella con la Macedonia è una boutade su un nome, poca cosa) è forzosamente rimarginata dal paternalismo sovranazionale di Washington. Ultimamente la Grecia ha però firmato sia le sanzioni contro la Russia (Settembre 2014) sia l’allargamento delle stesse non molto dopo. Atene si è allineata alla vulgata atlantista anche astenendosi (come quasi tutti i paesi del blocco europeo) riguardo alla proposta putiniana di mettere al bando il revisionismo nazista, quando un governo di Sinistra avrebbe quasi importo un adesione alla proposta russa.
A dimostrazione del bipolarismo del governo greco tuttavia stanno le parole del ministro degli esteri Kotzias, che a Febbraio 2014, dopo un colloquio con Lavrov, parlava della necessità di cercare altre vie, che non fossero le sanzioni, per dialogare con la Russia.
La Grecia diplomaticamente è particolarmente costretta dai lacciuoli eurocratici, e può quindi permettersi meno di quanto non potrebbe fare Berlino, o Parigi, ma anche Roma. E’ pur vero che nessuna reprimenda, nemmeno flatus vocis è giunta da Atene, in riferimento all’allargamento delle sanzioni o come abbiamo visto, almeno sulla questione storia del Nazismo. Un voto contrario non solo avrebbe polarizzato la opinione pubblica greca ma avrebbe ragionevolmente galvanizzato alcuni paesi dentro la UE che malsopportano la russofobia spinta (Ungheria,Rep.Ceca ecc).
Bisogna quindi chiedersi in che modo Atene pensa di utilizzare diplomaticamente un appoggio gracile alla Russia. Probabilmente la Grecia spera in una risoluzione travagliata ma positiva del conflitto in Ucraina (vedi l’interesse per gli accordi di Minsk) e di diventare in futuro mediatrice tra Mosca e Bruxelles.
Emblema ufficiale dell‘Unione Economica Eurasiatica
C) I segmenti pesanti del paese sono più interessati ad una apertura al credito europeo che a sfidare apertamente la Troika con provocazioni filorusse. La Banca Centrale Greca è una roccaforte della reazione eurocratica, ed essendo la voce in capitolo più grande per gli investimenti greci e l’economia ellenica in generale preme per una risoluzione filo-europea della crisi. Anche le parole concilianti rivolte da Putin a Tsipras l’8 Aprile, durante la sua visita a Mosca, si sono comunque concluse con una rassicurazione del Presidente russo circa la non volontà russa di minare la stabilità politica europea.
Un campo in cui il gran capitale greco può trovare conveniente una ripolarizzazione verso la Russia potrebbe essere quello dell’energia, con la sponda garantita da Tsipras al progetto di Turkish Steam che coinvolgerebbe anche la Fed.Russa. L’energia è il reale ventre molle dell’eurocratismo, e da qui può partire la magnetizzazione russa del Capitale greco, il quale tuttavia rimane largamente legato, controvoglia, al campo occidentale.
Anche a livello di partiti l’unico che si sia schierato con convinzione con Mosca è Alba Dorata, che ha recentemente partecipato ad alcune rassegne politiche della galassia nazional-rivoluzionaria a Mosca. Alba Dorata da qualche anno, dopo aver superato la sua vicinanza con Slovobda (in modo simile a quanto ha fatto Forza Nuova in Italia), preme per un avvicinamento della Grecia alla Russia, sia in funzione antieuropea che antiamericana. Il resto dei partiti greci tuttavia registra posizioni farraginose (PASOK e Nea Dimokratia ) o improntate all’opportunismo (Syriza, come ricordavamo), o apertamente filorusse ma solo per quanto concerne la questione ucraina (KKE).
A queste condizioni, a meno di stravolgimenti (che potrebbero essere un nuovo governo magari a guida Alba Dorata o una sterzata vampiresca della Troika) epocali, l’adesione di Tsipras all’Unione Eurasiatica rimane solamente una carta buona da giocare per esacerbare il dialogo con i soloni eurocratici. Più probabile rimane l’adesione alla banca dei BRICS, che tuttavia rimane troppo legata a progetti diplomatici e non politici tout court. Nel qual caso quest’adesione non sarebbe impossibile, ma solo poco produttiva su un piano di rapporti di forza.
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