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15 October 2024

Papa Francesco: pontificato breve o disinformazione?

Papa Francesco: pontificato breve o disinformazione?

Nella serata del dodici marzo (era già il tredici in Europa) l’emittente messicana Televisa ha trasmesso l’intervista concessa dal Papa alla vaticanista Valentina Alazraki in occasione del secondo anniversario della Sua elezione. Oltre atlantico l’intervista è stata dapprima compendiata in un comunicato di Radio Vaticana e poco più tardi riportata integralmente in italiano dall’Osservatore Romano (eccola), e in spagnolo dalla stessa Radio Vaticana (qui).

La conversazione tra Papa Francesco e la giornalista messicana è durata all’incirca un’ora e mezzo, e anche la sua trascrizione certamente non può definirsi corta. Nel sintetizzarla la stampa in molti casi si è soffermata, con precisione a dir poco chirurgica, solo su alcune espressioni usate dal Santo Padre, propinando a volte notizie dal senso poco coerente con quello del discorso del Sommo Pontefice, e presumibilmente distanti dalle Sue intenzioni. Non si tratta di un fenomeno nuovo, ma frequente, in particolar modo per le notizie che riguardano, in ordine crescente, la Chiesa Cattolica, il Romano Pontefice e Papa Francesco.

In questo caso ci riferiamo ai temi dell’intervista, e in luogo specifico al clamore suscitato dalle parole di Francesco I con le quali ha affermato di presagire la brevità del pontificato corrente.

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Una asserzione giunta allorché si è fatto notare al Papa che il Suo operato ha potuto a volte  far pensare ad “una certa fretta nel modo di agire” oppure a una visione del pontificato a “breve termine”. Eccola per intero:

“Ho la sensazione che il mio pontificato sarà breve. Quattro o cinque anni. Non so, o due o tre. Beh, due sono già passati. È come una sensazione un po’ vaga. Le dico, forse no. È come la psicologia di chi gioca e allora crede che perderà per non restare poi deluso. E se vince è contento. Non so che cos’è. Ma ho la sensazione che Dio mi ha messo qui per una cosa breve, niente di più… Ma è una sensazione. Per questo lascio sempre aperta la possibilità.”

Questa ci appare come una risposta affermativa alla prima ipotesi. Il Papa tiene effettivamente a realizzare i Suoi propositi al più presto, impegnandosi dal primo momento. Questa premura è suggerita dalla sensazione che il tempo a disposizione sia poco. Si tratta di una semplice sensazione, forse dettata dalla gravità non da poco della Missione, come specificato dalla metafora del giocatore. Non è opportuno interrogarsi sulla natura di questo mandato affidato a Francesco, magari lanciandosi in passionali ma arditi paragoni al Poverello d’Assisi e al “riparare la Chiesa”;o molto peggio a sensazionalistiche fantasticherie di gusto luteranesco sul “riformarla”. Qui si parla “semplicemente” (le virgolette sono d’obbligo) del compito di Pastore della Chiesa Universale, che deve essere svolto, come ogni altro, tenendo sempre presente la “missione d’identità con Gesù Cristo” che Francesco ha in altre occasioni ricordato e che ribadirà, come vedremo, più avanti nell’intervista. Il Papa intende svolgere dunque il Suo pontificato sotto la guida di Cristo,  con la sollecitudine di chi sa di poter essere in ogni momento sorpreso dai ladri (cfr. S.Matteo 24, 43-44), senza però escludere di poter esser chiamato dalla Provvidenza ad un lungo regno.

Una frase allusiva come “Per questo lascio sempre aperta la possibilità” può dare la sensazione che si rimanga in ambiguo e, considerando quanto poco remota è l’abdicazione di Benedetto XVI, si potrebbe pensare che il Santo Padre consideri aperta la possibilità di seguire anche in questo il cammino del Suo predecessore. Immediatamente dunque l’intervistatrice chiede  una precisazione in tal senso al Pontefice, il quale risponde:

“[…]Io credo che Papa Benedetto abbia aperto una porta. Settant’anni fa non esistevano i vescovi emeriti. Oggi ne abbiamo 1400. […] Credo che Benedetto con grande coraggio abbia aperto la porta ai Papi emeriti. Non bisogna considerare Benedetto come una eccezione. Ma come una istituzione. Forse sarà l’unico per molto tempo, forse non sarà l’unico. Ma è una porta aperta dal punto di vista istituzionale. Oggi il Papa emerito non è una realtà strana, ma si è aperta la possibilità che possa esistere.”

Una risposta perfettamente in linea colla precedente, cui segue la domanda, che è più una affermazione: “Si potrebbe pensare, come per i vescovi, un Papa che rinunci a ottant’anni.” Ecco la replica del Papa:

“Anche. Si può, ma a me non piace fissare un’età. Credo che il papato ha qualcosa di ultima istanza. È una grazia speciale. Per alcuni teologi il papato è un sacramento, i tedeschi sono molto creativi in tutte queste cose. Io non sono di questo parere, ma questo vuol dire che c’è qualcosa di speciale. Allora parlare di ottant’anni crea una sensazione di fine di pontificato che non farebbe bene, qualcosa di prevedibile. Non sono dell’idea di fissare un’età ma sono dell’idea di Benedetto. […]”

Francesco insomma non pensa di rinunciare al Ministero Petrino, e soprattutto non crede che si possa porgli un termine. Riconosce comunque, come la Chiesa ha sempre fatto, la possibilità della rinuncia, e il coraggio della scelta di Benedetto XVI, che servirà in futuro da ammonimento laddove se ne verifichino le circostanze. Il Papa Emerito è quindi una istituzione per l’importanza del Suo esempio. Lo è anche per la recente istituzione del titolo, ispirato a quello dei vescovi emeriti. Se esso verrà usato ancora nei prossimi anni non ci è dato sapere.

Tornando al nostro tema specifico, la ricezione da parte dei giornali delle attestazioni citate, nonché di altre risposte, è stata spesse volte incoerente, al punto che una veloce rassegna stampa delle più note testate svela un carosello di proclami tanto scandalistici quanto menzogneri e di condotte in qualche caso poco diligenti per dei giornalisti.

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L’intenzione originaria era di occuparsi esclusivamente della stampa nostrana, ma la menzione di quella straniera è d’obbligo in un caso esemplare. Infatti di tanto in tanto la notizia è riportata onestamente, e l’articolo più fedele alle parole del Papa, per quanto succinto, è del Time (qui).

In Italia si è appreso il contenuto dell’intervista tramite il comunicato della Radio Vaticana (qui) che ha avuto una considerevole “circolazione” nelle redazioni dei quotidiani. Diversi suoi trafiletti sono stati “copia-incollati” dall’Huffington Post (qui) – l’unico giornale a riconoscere espressamente la citazione – dall’agenzia di informazione ANSA (qui), da Repubblica (qui), dal Sole 24 Ore (qui), e perfino da “Vatican Insider” (qui), lo spazio dedicato da “La Stampa” alle vicende di Chiesa, dove invero era presente anche un’articolo di Andrea Tornielli (questo) che riportava le risposte del Papa.

Tuttavia il Sole 24 ore correlava il suo articolo ad una datata recensione (questa) alludendo ad altrettanto datate quanto poco affidabili argomentazioni. Si tratta del primo, e meno attendibile, dei due ordini di equivoci che una informazione distorta o quantomeno disattenta può generare sull’argomento. La rinuncia di Benedetto XVI sarebbe stata il primo segno di una imminente rivoluzione nella guida della Chiesa, destinata all’evoluzione nella scia dei moderni ordinamenti democratici, e culminante nell’istituzione di un “papato a termine”. In pratica il Papa dovrebbe presto avere a disposizione un “settennato” come il presidente della repubblica. Una previsione tanto distante dalle parole de Pontefice quanto poco cattolica, specie se si afferma che i futuri Successori di Pietro non potranno più “salire sul trono pretendendo di essere plenipotenziari di Cristo”.

Corre quasi sulla stessa linea di pensiero il pessimo articolo della redazione online del Corriere della Sera (qui), che addirittura arriva ad attribuire al Santo Padre asserzioni da lui mai pronunciate, come  nel grassetto: «i papi emeriti dovrebbero diventare un’istituzione», posto in rubrica con tanto di virgolette, a titolo di un piccolo capoverso contenente un collage di frasi dell’intervista. Contro l’evidenza, il quotidiano milanese lascia intendere invece una imminente istituzionalizzazione delle dimissioni per ingravescentem aetatem.

Il secondo tipo di equivoci, e che forse può apparire maggiormente plausibile, è quello per cui sarebbe possibile desumere dalle risposte di Papa Francesco a Valentina Alazraki, la Sua intenzione di rinunciare al Soglio Pontificio in un prossimo futuro. Questa interpretazione ha avuto però enorme risonanza anche sui media internazionali, infatti è il filo conduttore di numerosi articoli, come quello del Guardian (qui), e di servizi televisivi. Abbiamo già visto come a nostro avviso simili conclusioni non possano essere tratte da quel dialogo, ed è significativo come la stessa Valentina Alazraki abbia voluto smentirli in alcuni tweet che riportiamo in immagine.

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Nel Bel Paese tra banalità, fraintendimenti e strumentalizzazioni l’argomento in questione non ha mancato di dar vita a una fiumana di servizi grotteschi, alcuni dei quali menzionabili. Come “Papa Francesco: non durerò a lungo” dell’Avanti (qui), redivivo quotidiano socialista, il quale domandandosi “cosa ci sia di non detto nelle Sue parole?” ci presenta un Papa depresso, che nell’intervista a Televisa, sembrerebbe lanciare dall’inconscio e in modo indiretto “un allarme, un appello accorato, un segnale di difficoltà”. O anche Libero Quotidiano che in questo articolo calcola, con l’invadente nonchalance di uno iettatore navigato, le incognite che il Sommo Pontefice dovrebbe mettere in conto. Ne individua essenzialmente due: la “morte naturale” e il rischio di essere finito “nel mirino dell’ISIS”. In ultimo ci diverte molto anche il Fatto Quotidiano (qui) che, accennando sommariamente all’intervista, coglie l’occasione per sciogliere una filippica che sorprende Papa Francesco mentre si spoglia per un attimo delle vesti eroiche, dando sfogo alla frustrazione di non essere in grado di compiere la Sua missione titanica. La Chiesa non merita di essere salvata né può esserlo. Francesco I infatti, a due anni dall’elezione, starebbe per essere travolto da una valanga di Curia, Ior, pedofili, divorziati e gay, mentre viene stritolato da una “corte curiale” ostile guidata probabilmente dal cardinal Raymond Leo Burke

Tornando a questioni più serie, un’altra parte dell’intervista ad aver avuto molta risonanza è quella in cui il Santo Padre ha definito la Curia come “l’ultima corte d’Europa”. Una affermazione giunta quando Gli è stata chiesta conferma di voler cambiare nella Curia, molto più delle strutture, cioè la mentalità e il cuore.  Il Papa dunque dopo aver descritto l’ambiente della Corte Papale come diverso da quello delle altre corti rimaste nel continente e “ormai democraticizzate”, precisando di non avere intenti polemici, ha confermato di non voler agire sulla forma, ma sulle persone: quello di cui c’è bisogno è una conversione personale. Il Papa renderà esplicito il senso di queste parole più avanti nell’intervista, quando ricorderà l’allocuzione da Lui tenuta alla curia prima di Natale. Un esame di coscienza in cui aveva evidenziato quindici malattie.

“Ho pensato per esempio a una a cui nessuno ha fatto caso e per me è la principale: dimenticare il primo amore. Quando cioè uno si trasforma in un buon impiegato e dimentica di avere una missione di identità con Gesù Cristo, che è il primo amore.”

Concludendo, ricordiamo come il Papa abbia accettato l’aggiunta, propostagli da un cardinale in occasione dell’ultimo concistoro, di una sedicesima malattia alle quindici del discorso di Natale: “Quella di chi non ha il coraggio di criticare apertamente. Se uno non è d’accordo con il Papa deve andare a dirglielo”. Dunque forte dell’esortazione del Santo Padre, e pur essendo con Lui pienamente d’accordo, vorrei con affetto filiale rivolgergli una piccola considerazione. Papa Francesco ci ha abituato ormai da due anni al Gesuitese”: un linguaggio apparentemente compiacente, ma dalle scarse concessioni. Forse però usandolo di meno si eviterebbero numerose distorsioni come queste che abbiamo appena esaminato.

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3 comments

  • Ben detto, credo che la nota finale sul gesuitese sia particolarmente opportuna.
    Però Eugè, sicuro che in espressioni come “missione d’identità con Gesù Cristo” prevalga il valore sostanziale su quello formulistico? Non è che il “gesuitese” in questo caso serve a mantenere più di quanto si promette piuttosto che a promettere più di quanto si mantiene?
    Probabilmente sono molto vulnerabile al fascino delle velleità luteranesche…

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  • Eugenio Runco

    Il tono impegnativo in effetti è una delle caratteristiche (forse apparenti) del “gesuitese” moderno. Tuttavia non c’è molto di promessa in “questa definizione dal sapore “Paolino”: essa intende l’obbedienza a un comandamento universale, al quale si ottempera però solo da Cattolici. Il mero buonismo a volte puritano, a volte pietoso, cui si ridurrebbe il Cristianesimo se prevalessero le velleità luteranesche è stato più volte biasimato anche da Papa Francesco, che sicuramente ha percepito la questione.

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