Per noi non c’è terra oltre il Volga
Vasilij Zajcev nasce da una famiglia russa il 23 marzo 1915 a Yeleninskoye, nel governatorato di Orenburg, negli Urali. Fin da ragazzo, con il nonno e il fratello minore, va a caccia di cervi e lupi nelle montagne. A dodici anni, con un fucile Berdan, uccide il suo primo lupo.
Allo scoccare dell’Operazione Barbarossa, egli si trova a Vladivostok, come sottufficiale di marina nella Flotta del Pacifico, dove svolge mansioni d’ufficio. Chiede quindi di essere trasferito al fronte, come volontario. É assegnato perciò al 2° Battaglione del 1047º Reggimento di Fucilieri della 284ª Divisione di Fucilieri “Tomsk”. Intanto, i Tedeschi dilagano a fondo nel territorio sovietico, e la sua unità è inquadrata nella 62ª Armata, schierata di fronte a Stalingrado, ultimo baluardo delle difese sovietiche di fronte all’offensiva dell’Asse.
In questa situazione critica, Zajcev si mette subito in mostra per le sue doti di tiratore, abbattendo 32 nemici con il proprio Mosin-Nagant. Divenuto un cecchino, tra il 10 novembre e il 17 dicembre 1942, durante l’apice della battaglia, elimina 225 soldati nemici, compresi 11 cecchini e numerosi ufficiali.
La sua impresa più famosa, tuttavia, resta il duello con lo SS-Standartenführer Heinz Thorwald, inviato apposta per eliminarlo. Dopo alcuni giorni di caccia, Zajcev riesce a sorprendere il suo avversario e ucciderlo. Sebbene il mirino telescopico di Thorwald si trovi al Museo dell’Armata Rossa di Mosca, tutta la vicenda, immortalata nel film francese “Il nemico alle porte”, resta in bilico tra la storia e la leggenda.
Ad ogni modo, il suo contributo alla vittoria è importante, e non solo per i 400 nemici circa abbattuti, durante l’intera battaglia. Zajcev sperimenta nuove tecniche, affina l’arte del cecchinaggio e trasmette la sua esperienza ai suoi compagni. Si stima che i 28 cecchini da lui addestrati abbiano ucciso altri 3000 nemici. Inoltre, le tattiche da lui sviluppate sono state applicate con successo dalle forze armate sovietiche e russe nelle guerre a venire.
A gennaio, è ferito agli occhi da un mortaio e deve ritirarsi dal fronte. Durante la convalescenza è nominato Eroe dell’Unione Sovietica (22 febbraio 1943) e riceve la tessera del Partito Comunista. Una volta guarito, grazie al medico Vladimir Filatov, torna al fronte, terminando la guerra alle porte di Berlino, con il grado di capitano.
Dopo il conflitto, studia da ingegnere e lavora a Kiev come direttore di un’azienda tessile. Muore il 15 dicembre 1991, appena dieci giorni prima della fine dell’Unione Sovietica, per cui aveva combattuto. Solo il 31 gennaio 2006, però, viene esaudito il suo desiderio di riposare sulla collina di Mamayev Kurgan, sopra Stalingrado, a fianco dei compagni caduti.
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