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20 April 2024

Paolinelli e l’Università Cattolica del Madagascar

Paolinelli e l’Università Cattolica del Madagascar

Marco Paolinelli entra nel 1962 all’Università Cattolica di Milano: allievo di Sofia Vanni Rovighi, si laurea e diventa Professore di Filosofia Morale presso la sede di Brescia dell’ateneo. Tra le sue opere vanno ricordate almeno Fisico-teologia e principio di ragion sufficiente (Milano 1971), Il filosofo e il tecnico della ragione. La filosofia secondo Kant (Milano 1993) e La ragione salvata. Sulla ‘filosofia cristiana’ di Edith Stein (Milano 2001). Entrato nell’ordine dei Carmelitani Scalzi, negli anni ’90 intraprende la sua attività di missionario in Madagascar, poi in Belgio, quindi di nuovo in Madagascar. Nel 2012, nella capitale Antananarivo, dal precedente seminario nasce l’Università Cattolica del Madagascar e Paolinelli è chiamato ad occuparvi la carica di Preside del dipartimento di Filosofia.

Venerdì scorso, 9 gennaio, il Professor Paolinelli è stato a Milano per un incontro con gli studenti della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università gemella, legata alla Cattolica del Madagascar da un protocollo di intesa. Qualche ora prima però abbiamo avuto occasione di incontrarlo in un caffè per un breve colloquio: è stato difficile rimanere indifferenti ai racconti suggestivi della sua esperienza in Africa, ascoltarlo rispondere con pacatezza, non senza un certo trasporto, a domande sulla storia e la società malgascia che sicuramente gli saranno state rivolte centinaia di volte. Mentre sorseggiava un bicchiere di latte, con il suo sguardo sfuggente e profondo al tempo stesso, dietro ad un paio di occhiali dalla montatura anni Settanta, Paolinelli ci ha raccontato della vita agra che la gran parte dei cittadini malgasci conduce. L’indice di povertà è al 68%. Molti, quando trovano chi sia disposto ad ingaggiarli, lavorano a giornata come facchini o lavandaie.  Donne e bambini trovano spesso occupazione presso le cave di argilla, da cui risalgono con alte pile di mattoni portate in equilibrio sopra la testa.

L’Isola Rossa (“non per il colore politico, ma a causa delle lateriti ferrose” come ci tiene a sottolineare Padre Paolinelli) è abitata da appena duemila anni. Le tre etnie principali (di origine in parte asiatica e in parte africana) convivono pacificamente, per quanto siano malvisti i matrimoni misti. Dagli inizi dello scorso millennio sulle coste si sono insediate comunità di arabi musulmani e anche i cristiani, cattolici e protestanti, sono presenti sull’isola ormai da secoli. La loro opera missionaria ha portato alla conversione di circa la metà degli abitanti. Il resto della popolazione è dedita ai culti tradizionali animisti, vive principalmente nelle campagne (dove i segni della modernità sono ancora ben lungi dal manifestarsi) ed è generalmente refrattaria alla catechesi cristiana.

Nel fine settimana, quando è libero dall’insegnamento, Paolinelli prosegue il suo impegno presso la missione dove, prima di ricevere l’incarico di preside e di professore, lavorava a tempo pieno: negli ultimi anni lui e i suoi confratelli hanno partecipato alla fondazione di una cooperativa di tessitrici (per sottrarre le lavoranti al loro stato di costante precarietà), hanno offerto una casa a molti che non l’avevano e sono riusciti a far sì che migliaia di bambini e bambine, che altrimenti non sarebbero andati a scuola, ricevessero un’istruzione. Se il pranzo gratuito non è garantito dalla mensa scolastica, numerose famiglie non possono permettersi infatti di mantenere i figli durante gli studi elementari. Nelle classi mancano persino i libri, tant’è che i maestri scrivono per intero la lezione alla lavagna, che ogni allievo ricopia sul proprio quaderno. L’apprendimento prevalentemente mnemonico si ripercuote, a detta di Paolinelli, sull’autonomia di pensiero degli studenti che si iscrivono poi ai suoi corsi di laurea. Quando gli chiediamo di darci un saggio del suo metodo di insegnamento, ci parla della fatica erculea con cui cerca di trasmettere lo “stupore metafisico” ai suoi ascoltatori: “Perché esiste qualcosa e non piuttosto il nulla?”. Inoltre ci racconta con disappunto l’interesse che serpeggia tra alcuni studenti per autori atei e nichilisti, come Sartre o Nietzsche, o in generale per la tradizione libertaria: un interesse a cui si oppone pertinacemente, cercando di comunicare con passione la sua predilezione per Sant’Agostino e Tommaso d’Aquino.

paolinelli milano

Con la fondazione dell’Università Cattolica del Madagascar, ai corsi di studio tradizionali in Filosofia e Teologia si sono affiancati quelli in Scienze Sociali e Psicologia. Mentre questi ultimi sono frequentati soprattutto dai giovani delle famiglie più abbienti, provenienti in prevalenza dalla città, gli studenti di Filosofia e Teologia molte volte hanno origini modeste e (soprattutto quelli laici, che non godono dei sussidi ecclesiastici) faticano a versare le rette dell’Università. Tanti di loro lavorano come insegnanti (data la forte richiesta da parte delle scuole primarie e secondarie), qualcuno addirittura fa il guardiano notturno. Per gli studenti capaci e volenterosi, ma presi da gravi difficoltà economiche, Paolinelli sta raccogliendo fondi in modo tale da istituire delle borse di studio. Chiunque sia interessato, entro al fine del mese può portare un proprio contributo presso il Centro Pastorale dell’Università Cattolica di Milano. In alternativa è possibile fare una donazione tramite il sito dell’Associazione Agostini Semper (gli ex studenti del collegio Augustinianum, di cui fu ospite lo stesso Paolinelli).

La cultura malgascia, prima della colonizzazione e della francesizzazione del Paese, era prevalentemente orale. Dei proverbi e i detti notevoli che si ricordano, il Professor Paolinelli ce ne ha riportato uno attribuito a Radama, il più famoso e il più amato dei re dell’isola: a chi gli chiedeva del cibo, ordinava di dare una zappa, perché provvedesse da sé alle proprie necessità (in Madagascar abbondano le terre vergini, ancora da dissodare). Questo stesso spirito sembra animare l’opera di educatore e missionario di Paolinelli: la formazione di una generazione di malgasci che sappiano rispondere, autonomamente e responsabilmente, ai problemi che ancora affliggono la loro prospera quanto tormentatissima terra.

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