08:44 pm
28 March 2024

La Grecia e l’ultima chance dell’Europa

La Grecia e l’ultima chance dell’Europa

Siamo sinceramente orgogliosi di pubblicare un articolo dell’amico Giovanni Carissimo: blogger, attivista e scienziato politico, panificatore.

 

Cominciare un articolo con note autobiografiche – soprattutto se ha l’ambizione di dare qualche spunto di riflessione – non mi è mai sembrato un granché interessante. Tuttavia mi viene da fare un’eccezione, nella speranza di spiegare meglio quel che mi passa per la testa.Ho ventotto anni ed una laurea specialistica in ‘economia, politica e istituzioni internazionali'; oggi sono un lavoratore precario, uno dei
tanti che si arrabattano. Appartengo con orgoglio a quella che certi giornalisti etichettano come ‘generazione Erasmus': sia nel corso degli studi che dopo, infatti, ho usufruito delle occasioni che l’Unione Europea mi ha offerto per accrescere le mie competenze e vivere in altri paesi membri. Ho svolto un tirocinio ad Amsterdam ed uno a Jerez de la Frontera (Andalusia); ho studiato all’università di Santiago de Compostela e lavorato in una biblioteca lituana con il Servizio di Volontariato Europeo (Sve). In tutti questi anni non ho mai dubitato che il mio futuro fosse saldamente radicato nell’Unione, e ho sempre sperato che l’Europa potesse in qualche modo aiutare l’Italia a superare le sue numerose anomalie (gerontocrazia, maschilismo, razzismo, clientelismo, corruzione, scollamento delle istituzioni dalle vite delle persone, ecc) e – perché no – anche aiutarla a sprovincializzarsi e diventare, finalmente, un paese più civile, più accogliente, più aperto e rispettoso delle differenze.Intendiamoci, sono stato e resto molto critico sulle scelte alla base dei trattati fondativi e della maggior parte delle azioni dell’Unione: fondamenta di tipo monetario anziché politico e sociale; scarso peso del Parlamento (l’unico corpo democraticamente eletto dai cittadini); chiusura razzista verso migranti e rifugiati provenienti dal bacino del Mediterraneo; imposizione di politiche economiche neoliberiste che, dopo aver salvato chi ha contribuito a causare la crisi, rovinano la vita della maggior parte della popolazione. La lista e le argomentazioni sarebbero molte, ma immagino ci siamo capiti (e poi non è questa la sede in cui entrare in dettaglio).È con questo spirito che, dal 22 al 26 gennaio scorsi, ho partecipato alla Brigata Kalimera, la delegazione italiana di appoggio a Syriza promossa dal gruppo di organizzazioni, partiti e pezzi di società civile che si sono riconosciuti nell’appello “Cambia la Grecia, cambia l’Europa”. Giusto per far capire meglio chi sono, preciso di non aver mai avuto la tessera di alcun un partito e di essere sempre stato attivo nei movimenti sociali, prima della scuola, poi dell’università (contro i tagli ai finanziamenti pubblici e le riforme privatizzatrici) e successivamente nel territorio in cui abito, all’interno del variegato mondo degli spazi autogestiti.Ho deciso di andare ad Atene perché non ne posso più di avere la nausea ogni volta che leggo il giornale, di avere quasi trent’anni e l’unica certezza di vivere peggio della generazione dei miei genitori. Sono volato ad Atene perché la paura deve cambiare di lato: non più tra le fila di precari, esodati, disoccupati, pensionati, lavoratori, ma tra quelle di banchieri, speculatori, grossi e grassi imprenditori e i loro tristi referenti politici, che passo a passo stanno svuotando il senso della democrazia e trasformando l’Europa in una oligarchia economico-finanziaria.

E con questo vengo al dunque: oggi, di fronte all’oltranzismo ottuso con cui i vertici europei insistono nel rifiutare il negoziato con il governo greco di Syriza, la mia fiducia verso l’Europa si è incrinata tanto da essere sul punto di infrangersi.

Non penso di essere particolarmente originale: nella mia stessa condizione ci sono milioni di giovani in tutto il continente, stretti tra disoccupazione alle stelle, lavori di merda, assenza di prospettive, precarietà occupazionale e, a cascata, precarietà esistenziale. Ne ho incontrati tanti ad Atene in quei giorni, da vari angoli dell’Unione, così come ne incontro a decine nella vita di tutti i giorni che si snoda tra Milano e il suo hinterland nord-est.

L’orgogliosa resistenza della Grecia ai memorandum della Troika e al dogma dell’austerità mi ha restituito una sferzata di speranza ed entusiasmo dopo anni di preoccupazione e di cupezza. La società greca ha risposto alla crisi umanitaria creata dalle politiche neoliberiste con l’autorganizzazione: una fitta rete di ambulatori e farmacie gratuiti, mense e punti di distribuzione di cibo, mercati a chilometro zero senza intermediari della grande distribuzione, comitati di opposizione agli sfratti, scuole di greco per migranti, centri culturali di quartiere ha fatto sì che il tessuto sociale non si lacerasse e che non si diffondesse la feroce e stupida ideologia della guerra tra poveri – la stessa che i nazisti di Alba Dorata e le destre identitarie del resto d’Europa stanno tentando di rendere egemone. La vittoria elettorale di Syriza non si può comprendere a fondo senza questa consapevolezza: il voto della maggioranza dei greci e delle greche è andato verso la forza politica percepita come l’unica in grado di farsi interprete ed incanalare in un cambio sistemico le istanze della società che resiste e risponde alla crisi con più democrazia (reale), più solidarietà, più partecipazione popolare. L’esatto opposto del progetto a “larghe intese” dei vari Juncker, Dijsselbloem, Draghi, Schultz, Renzi, Merkel, Hollande, Cameron, Rajoy e soci.

Oggi, per concludere, nei confronti della Grecia si gioca una partita che ha come posta in gioco l’ultima chance dell’Europa: l’ultima occasione di costruire un’Europa sociale che metta al primo posto le persone e non i profitti, il benessere e non i mercati. Sarà una partita lunga e dura, durissima, di cui la Grecia è solo il primo tempo, e da cui non possiamo restare fuori. Se vincerà il partito arcigno dell’austerità neoliberista non solo la Grecia, ma tutti gli altri paesi membri avranno perso, Italia in primis.

E a noi della ‘generazione Erasmus’, per non continuare a patire l’esclusione e la frustrazione sofferte fino ad oggi, probabilmente non rimarrà che la strada dell’esilio.

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