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20 April 2024

L’infamia di Reagan

L’infamia di Reagan

I Presidenti degli Stati Uniti – come i leader delle grandi potenze in generale – non sono in genere noti per essere degli stinchi di santo, ma in questa “galleria degli orrori” dei volti dell’imperialismo a stelle e strisce, Ronald Reagan si guadagna sicuramente un posto d’onore. Trovare di che parlarne male, non è certo difficile, né si tratta di una novità.

Quello che, invece, stupisce è che presso alcuni cattolici (o presunti tali) sia considerato non solo un grande statista (affermazione perlomeno discutibile) ma addirittura uno statista cristiano (il che è proprio fuori di discussione)! D’altronde, questa è gente che, dopo 124 anni di encicliche sociali in cui i Pontefici spiegano il contrario, ancora si ostina a credere che il liberismo (o, peggio ancora, il neoliberismo!) sia compatibile con la fede cattolica.

Come anticipato, delle colpe di Reagan ci sarebbe molto da narrare, come pure dei presunti meriti. Primo fra tutti, quello di aver combattuto l’aborto. In realtà, tante belle parole ma, dati alla mano, ci risulta che il tasso percentuale di aborti negli Stati Uniti non è mai stato così alto come durante il suo mandato. Del resto, se si fa macelleria sociale…

Parliamo pur sempre, del resto, di un attore prestato alla politica che riteneva che la cura per un Paese segnato dalle gravi ingiustizie sociali, frutto del liberismo, fosse applicare maggiore liberismo. Anche se – a dirla tutta – è quanto meno discutibile togliere i soldi ai contribuenti per commissionare alle grandi industrie belliche un riarmo generale, con tanto di fantasmagorici scudi spaziali di dubbia utilità – a maggior ragione quando si è già la principale potenza mondiale, con un rilevante distacco sulla seconda, quanto a produzione economica, ricerca tecnologica, consenso diplomatico, proiezione aeronavale e posizionamento strategico. Non ho grande dimestichezza con l’opera di Hayek, ma dubito fortemente che approvasse un simile e ingiustificato aumento della spesa pubblica.

Che poi questo dispiegamento di forze sia servito davvero a vincere la Guerra Fredda, è tutto da vedere. Molti studiosi pensano piuttosto che il crollo del blocco sovietico abbia avuto cause endogene (cfr. Strobe Talbott), in particolare con l’affermazione di Gorbaciov (cfr. Robert G. Kaiser), o che addirittura l’atteggiamento di Reagan abbia ritardato questo processo (cfr. Charles W. Kegley). Altri ancora osservano che dal 1984 l’approccio fu invece molto più conciliante (cfr. Beth A. Fischer). In ogni caso, persino i suoi stessi consiglieri (es. Robert McFarlane e Jack Matlock) hanno in seguito ammesso che l’intenzione reale non era portare l’Impero del Male al collasso, ma piuttosto migliorare le relazioni tra le superpotenze, partendo da una posizione di forza. Ma ora non pretendiamo che i liberisti abbiano studiato la storia, e men che meno quella delle relazioni internazionali!

Ad ogni modo, fatto sta che il guitto della Casa Bianca ha lanciato negli anni ’80 una serie di offensive in tutto il mondo per rilanciare l’egemonia statunitense. I suoi alleati in questa “ultima crociata contro il bolscevismo”, da parte loro, erano ancora più imbarazzanti di lui. Passi Saddam sguinzagliato contro Khomeini, con tanto di gas, mine e oltre un milione di morti; passi pure il Sudafrica bianco deciso a mantenere il dominio razziale sui popoli dell’Africa meridionale… ma della creazione di Al-Qaeda, col compagno di merende Osama Bin Laden, e quindi del jihadismo islamico come lo conosciamo oggi, retrospettivamente, avremmo fatto volentieri a meno.

Tuttavia, l’apice di queste eroiche gesta, su cui voglio sollevare l’attenzione, è stato compiuto proprio nel cortile di casa. Parliamo dunque dell’intervento reaganiano in America Centrale, riassunto magistralmente da un saggio dello storico John A. Coatsworth, contenuto nella “Cambridge History of Cold War” (che non è proprio “Il Manifesto”).

Ora, gli interventi statunitensi in America Latina non sono mai stati una novità. Solo durante la Guerra Fredda, sono stati rovesciati ventiquattro governi, perlopiù democraticamente eletti – dei quali quattro per intervento militare diretto, tre attraverso la CIA, e i restanti golpe sono stati subappaltati alle forze militari locali, i cui quadri erano spesso e volentieri addestrati dagli stessi USA, per difendere il mondo libero dalle dittature fasciste prima, e comuniste poi (quando si dice l’eterogenesi dei fini…). Come risultato, nel 1977, solo Costa Rica e Venezuela erano Paesi stabili con governi liberamente eletti.

A questo punto, il democratico Carter, sulla scia di Kennedy, cominciava a chiedersi se non fosse il caso di contrastare il comunismo, promuovendo democrazia e giustizia sociale, ossia alleviando quelle condizioni di estrema oppressione e miseria che spingevano i popoli del Continente nelle braccia del socialismo rivoluzionario. Inutile dire che le élite locali, pur di non perdere i propri privilegi, non erano molto inclini ad usare altri metodi di pacificazione sociale, oltre alla tortura e agli squadroni della morte… ma qualche progresso era stato fatto.

Il repubblicano Reagan era intervenuto però a gamba tesa fin dalla campagna elettorale, accusando Carter di debolezza e promettendo di usare il pugno di ferro contro la minaccia comunista. In particolare, nel 1979, i rivoluzionari sandinisti del Nicaragua avevano finalmente abbattuto la pluridecennale dittatura della famiglia Somoza, e la guerriglia si era estesa nei vicini El Salvador e Guatemala. Fortunatamente, il prode “crociato della libertà” era pronto a ricacciare i comunisti all’inferno.

Reagan

Peccato che la minaccia comunista in America Latina non esistesse se non nella propaganda reaganiana. I movimenti rivoluzionari della regione consistevano in fronti di liberazione nazionale, dove convivevano varie correnti ideologiche, dai comunisti ai nazionalisti ai cristiano-sociali. L’URSS era troppo lontana e impegnata per intervenire e aveva sempre guardato di cattivo occhio il sostegno cubano ad altri movimenti rivoluzionari in quella che era tacitamente considerata dal Cremlino come riserva statunitense.

Lo stesso Nicaragua sandinista non solo ricevette aiuti sovietici e cubani in misura minore rispetto a quelli provenienti da altri Paesi europei e americani, ma soprattutto non implementò mai una politica comunista d’imposizione di un Partito unico e collettivizzazione dei mezzi di produzione, e tantomeno abbandonò l’Organizzazione degli Stati Americani. A margine, è anche interessante osservare come questo piccolo Stato vanti tuttora le leggi più restrittive al mondo in materia d’aborto.

Quello che invece era fin troppo reale era la natura estremamente repressiva delle dittature centroamericane. In un contesto dove un’oligarchia di latifondisti e compradores, insieme alle grandi multinazionali statunitensi, sfruttava masse rurali in condizioni di sussistenza, dominavano giunte militari, in confronto alle quali persino Pinochet poteva a buon diritto passare per socialdemocratico. Qui, anche contro la stessa opinione pubblica statunitense – che fin dai tempi del Vietnam cominciava a porsi problemi riguardo alle manifestazioni più brutali del proprio imperialismo –, Ronnie Reagan diede il meglio di sé.

Al confine tra Honduras e Nicaragua, la CIA, con l’aiuto d’istruttori militari argentini (sì, quelli che facevano volare i dissidenti in mare), organizzò elementi della ex-Guardia Nazionale di Somoza, per formare i famigerati Contras, finanziati dal Congresso e armati attraverso il narcotraffico e la vendita di armi all’Iran. Non pago di ciò, il governo statunitense, in totale violazione del diritto internazionale, minò i porti nicaraguegni, infischiandosene poi bellamente del verdetto di risarcimento emesso dalla Corte dell’Aia. Insomma, il rispetto della legalità valeva solo quando si trattava di tollerare la sentenza Roe vs Wade…

Dopo una serie di sonore sconfitte sul campo per opera delle forze regolari, i Contras ricorsero al terrorismo contro obiettivi civili, causando oltre 30.000 morti. Alla fine, incapaci di prevalere direttamente, gli USA accettarono un compromesso con il governo sandinista, che perse di misura le elezioni del 1990. Queste si svolsero in un contesto di esasperazione popolare di fronte alla prepotenza statunitense e videro la vittoria di una coalizione di centrodestra finanziata dagli Stati Uniti e guidata da Violeta Chamorro, il cui padre era stato assassinato da Somoza.

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In Guatemala, la guerriglia contro la dittatura militare era radicata nelle popolazioni indigene maya che vivevano lì da millenni. Anche qui Reagan provvide a fornire ampio sostegno economico, in particolare al nuovo governo del Generale Efraín Ríos Montt, convertito alla fede evangelica, che nel 1982 era subentrato, via golpe, al Generale García Lucas. Siccome la semplice repressione politica è troppo poco, in appena un anno di potere, prima di essere deposto da un nuovo golpe, Ríos Montt distrusse 686 villaggi e uccise 50.000-75.000 indigeni, conquistandosi un processo per genocidio (attualmente in corso). In totale, in questo periodo, su una popolazione guatemalteca di 6.500.000 abitanti (nel 1980), si ebbero 200.000 morti (per il 93% ad opera dello Stato e per l’83% di etnia maya) e 1 milione di rifugiati.

Tuttavia, è al Salvador che spetta la palma nella lotta contro il comunismo ateo e omicida. Il 24 marzo 1980, l’Arcivescovo conservatore Óscar Arnulfo Romero, Primate di El Salvador, vertice della gerarchia cattolica nel Paese, fu assassinato dai servizi militari mentre celebrava Messa nella Cattedrale, durante la Consacrazione, per aver criticato la repressione del regime. Non soddisfatti, la mattina successiva, durante le esequie, esplosero una bomba e spararono dalle finestre del Palazzo Presidenziale, causando 38 morti tra i fedeli. Inutile dire che neanche Hitler e Stalin si erano mai sognati di fare una cosa del genere, senza neanche attendere la fine della Messa e istituire un processo farsa! Oggi, Romero è Beato in quanto Martire, a controprova che si è trattato di una vera e propria persecuzione contro la Chiesa Cattolica.

Infatti, più avanti, vista la sgradevole tendenza del clero a schierarsi con i più deboli, minacciarono lo sterminio dei gesuiti presenti nel Paese. A dicembre, per festeggiare l’elezione di Reagan, i militari rapirono, stuprarono e uccisero quattro religiose statunitensi impegnate nell’assistenza dei poveri. Carter, sdegnato, ritirò l’appoggio economico, ma questo fu subito reintegrato dal “Nostro” il mese seguente. Grazie a questo decisivo sostegno, l’esercito salvadoregno resistette, l’offensiva dei ribelli fu respinta e il massacro dei civili proseguì indisturbato.

Tuttavia, ben presto il regime si accorse che cominciavano a scarseggiare gli uomini da arruolare, ma presto fu trovata la soluzione: l’arruolamento – anche coatto, ricorrendo a raid nelle scuole – di ragazzi, anche di 14-15 anni. In piena guerra civile, l’80% delle forze governative e il 30% dei guerriglieri era composto da minorenni. Questo fenomeno è alla base della nascita di violentissime gang giovanili come la Mara Salvatrucha 13. In ogni caso, si stima un totale di 75.000 morti (per l’85% causati dal regime), di cui oltre la metà sotto il mandato di Reagan, e 500.000 rifugiati su una popolazione di 4.500.000 (1980).

In conclusione, a fare i conti, il motto “Meglio morti che rossi” non è mai stato tanto vero, se consideriamo che su una popolazione totale – per questi tre Stati – di circa 12.500.000 abitanti (nel 1975), i morti ammontano al 2,84% e i rifugiati al 16%. Questi ultimi, tra l’altro, si diressero in maggior parte negli Stati Uniti, dove chiesero di essere accolti come rifugiati politici. Naturalmente, mentre gli esuli cubani erano accolti a braccia aperte e coccolati dal governo statunitense, i profughi centramericani erano rifiutati e costretti alla clandestinità: solo il 9-11% dei nicaraguegni, il 2,6% dei salvadoregni e l’1,8% dei guatemaltechi ottenne asilo politico – sempre grazie alle cristiane virtù d’accoglienza e ospitalità dell’amico Reagan, beninteso.

Insomma, viste le sue preclare virtù di Defensor Fidei sovraelencate, che aspettano i cattoliberisti a chiedere la canonizzazione del loro novello Luigi IX?

P.S. Raccontatemi pure di quando Chávez e Castro facevano sparare agli arcivescovi.

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