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26 April 2024

Reportage da Montecitorio/2 Una commedia in attesa della vera partita

Reportage da Montecitorio/2 Una commedia in attesa della vera partita

Roma. Che quella odierna sarebbe stata una giornata con poche emozioni lo si evinceva facilmente dalla tranquillità con cui deputati e senatori raggiungevano Piazza Monte Citorio. Indubbiamente l’elemento più frizzante era il forte vento freddo. Il resto era come se fosse in un limbo: non sono mancate dichiarazioni al vetriolo tra le parti politiche, da Ncd verso Pd, dai falchi di Forza Italia contro le colombe e così via. Ma sono stati gli atti di una commedia di secondo piano che oggi doveva tenere in caldo il pubblico per il gran finale di domani (almeno così spera il Presidente del Consiglio Renzi). Pippo Civati, l’eterno scissionista del Pd che minaccia ma non rende mai effettiva la sua fuoriuscita, prima di diventarne nemico giurato è stato un renziano di ferro. Di lui il Presidente del Consiglio diceva essere il vero autore dei contenuti politici della prima Leopolda. Condividono, inoltre, l’impostazione giovanile: per questo Civati non parla di commedia, ma di “grande fiction”, in cui Berlusconi e il Premier, guidando i loro attori comprimari, starebbero fingendo di litigare per poi continuare ad amoreggiare sulle riforme e tutto il resto, come se nulla fosse avvenuto. “É una coppia così affiatata” che di certo Mattarella non sarà quel famoso dito che non bisogna mai mettere tra moglie e marito.

Per strada i politici rilasciano dichiarazioni, si rifiutano o cercano i giornalisti in base allo stato d’animo dei loro rispettivi partiti. Gli eletti del Pd non si sottraggono ai microfoni, raccontano di aver proposto il Presidente giusto e con le modalità corrette. Per Debora Serracchiani, Mattarella è un “nome cui è difficile dire di no, anche per Ncd e Fi”. Tuttavia, non sembra essere così lineare la partita, soprattutto a chi nel bar di via degli Uffici del Vicario si godeva un caffè gentilmente offerto da un collega. Paolo Romani, sbilanciandosi più di quanto forse potrebbe, mentre prende la tazzina va a pescare con piene mani negli affari di Angelino Alfano: “non credo che voterà Mattarella”, dice prima di abbandonare il bar virando in direzione opposta alla Camera dove, in teoria, sarebbero già iniziate le operazioni di voto. Verrà smentito la sera stessa.

Che il Nuovo Centrodestra stesse ancora ragionando sul da farsi era evidente. I pochi che si vedono in giro evitano educatamente le domande e non si fermano per scambiare due parole. Lo hanno fatto solo l’ex sindaco di Milano Albertini e Rocco Buttiglione, ma per dire che nulla era deciso e la questione rimandata ad una riunione serale. Il tutto intorno all’ora di pranzo, quando già la seconda votazione aveva dato responso negativo.

Le incognite della giornata ruotano attorno alle mosse dell’Area popolare. Lo sa la Serracchiani, pronta ad aprire eventualmente una discussione interna alla maggioranza di governo per ridiscutere alcuni punti, o – chissà – la partecipazione stessa di Ncd all’esecutivo.

Un Ministro importante come quello dell’Interno può votare diversamente da quanto fanno gli altri partiti della coalizione senza generare una crisi? Forse no. E infatti per Sergio Chiamparino, presidente della Regione Piemonte, sarebbe “strano se un funzionario di governo di primo piano con un ruolo delicato non votasse il Presidente della Repubblica”. Alfano avvisato, mezzo salvato.

Di umore differente i forzisti del “Silvio stai attento che Renzi ti frega”. Tra loro, Augusto Minzolini, sempre molto disponibile nel concedersi alle domande, probabilmente remore di quando al freddo a raccogliere la dichiarazione del Craxi di turno toccava a lui.  Minzolini è convinto che Berlusconi abbia fatto “una lettura sbagliata del momento politico”. Sarà l’atmosfera effettivamente particolare, sarà il caso, ma anche l’ex direttore del Tg1 ha fatto ricorso ad una metafora teatrale per definire la situazione politica che si stava venendo a creare. Quello che in molti chiamavano negativamente “il teatrino della politica, è tornato ad essere la politica vera”, e chi non si adegua alla trama ne rimarrà fuori. Merito, o colpa, di Renzi.

“Matterella ce la farà?”‘ si chiedevano oggi i molti che ieri si erano concentrati sul Patto del Nazareno. I più che ruotano attorno a Palazzo Chigi sono pronti a giurare di sì. Ma forse qualcosa scricchiola e i numeri non sono così larghi. Il dissidente del M5S Walter Rizzetto, che ha abbandonato il Movimento poco prima dell’inizio delle elezioni per il Quirinale, era stato accusato di essersi venduto per poco alle esigenze del Partito Democratico. Eppure, a microfoni spenti confessa di essere a capo di una nutrita pattuglia di grandi elettori che alla quarta votazione, quella decisiva, indicherà il nome di Stefano Rodotà. Uno schiaffo agli ex colleghi cinque Stelle che avevano escluso il costituzionalista dalle Quirinarie sul blog di Grillo, preferendogli Prodi e Bersani. Ma forse il vero schiaffo è per Renzi e la Serracchiani, perché al loro dettagliato elenco di fedeli avrebbero dovuto  togliere i venti del piccolo plotone di Rizzetto. Rimanendo con dei margini molto risicati, argini labili con cui difendersi dai franchi tiratori.

Di sera cede Alfano e torna all’ovile: voterà Mattarella. Domani non sarà più una commedia.

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