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18 April 2024

L’Islam moderato batta un colpo

L’Islam moderato batta un colpo

Premessa. Non saremo qui a cercare di capire se è nato prima l’uovo o la gallina, cioè se la violenza jihadista è conseguenza o causa delle guerre in Iraq e Siria. Non lo faremo perché è un discorso utile, certo. Geopolitico, ovvio. Ma non fondamentale per quanto riguarda la natura del problema, cioè che l’Occidente è oggi attraversato da eventi delittuosi riconducibili ad una matrice unica, ideologica e religiosa, che è l’Islam. Questo è il punto che l’Occidente si trova e dovrà avere il coraggio di affrontare: la sua relazione con la religione di Maometto, la sua realtà e le sue differenze con la nostra civiltà. Europea, cristiana, ed attraversata, come ha detto Benedetto XVI, dalla ragione.

La questione ruota attorno alla domanda, legittima, se esista davvero o no un Islam moderato. I diretti interessati, ovviamente, dicono di sì. Altri, tra cui anche convertiti d’eccellenza, sostengono il contrario, perché nel Corano si predica l’odio, perché Maometto ha comandato di uccidere o convertire gli infedeli, perché il Musulmano deve applicare la Sharia. Se non segue tutte queste cose è un apostata. L’ha ben spiegato l’imam di Londra, Anjem Choudary, ai microfoni di Piazzapulita: «chi insulta il Profeta deve morire».

Tuttavia, la maggior parte dei commentatori e dei credenti di nazionalità occidentale sono certi che l’islam moderato esista e possa convivere con le bellezze e le storture della civiltà occidentale. Ma l’Islam moderato non è monolitico, è un arcipelago. Che produce differenti livelli di risposta all’integralismo islamico. Alcuni coerenti con il rifiuto di ogni violenza e l’accettazione che l’Occidente ha una propria peculiarità culturale che deve essere rispettata. Tante altre piccole isolette, invece, non denunciano con forza gli atti violenti perpetrati contro le minoranze religiose, le donne, i reporter stranieri. Non si schierano dalla parte di chi combatte il terrorismo. Troppo spesso assumono delle posizioni di debole condanna, che contengono dubitativi che ne sbiadiscono l’efficacia.

Il primo di questi suona come una sorta di «ha cominciato prima lui». Ospite a La Gabbia su La7, il responsabile della comunità islamica milanese, Davide Piccardi, ha più volte ripetuto di non dimenticare che i nostri governi occidentali hanno invaso dei paesi musulmani e lì ucciso donne e bambini. Il che, pur non giustificando, spiegherebbe i motivi di tali reazioni. Ragionamento legittimo, ma che lascia troppo spazio a cattive interpretazioni. Perché non limitarsi alla semplice condanna del terrorismo islamico fatto in nome di Allah?

Non pochi fedeli, invece, contestano la scelta dei Media di chiamare «terrorismo islamico» le azioni militari svolte contro la redazione di Charlie Hebdo. L’obiezione, in breve, è questa: si tratta di terrorismo, cioè qualcosa che porta morte e terrore, ma non di terrorismo «islamico». Perché l’Islam, a loro modo di vedere, è tutt’altro, ma non è violenza. Non si può negare, però, che entrando nella sede del giornale satirico, i due terroristi lodavano Allah e che le rivendicazioni delle bombe a Londra, Madrid e gli aerei di New York avevano uguale radice. Si vuole forse sostenere che Boko Aram, l’Isis, Al-Qaeda nulla abbiano a che fare con l’interpretazione, giusta o sbagliata, del messaggio del profeta Maometto? Sarebbe come affermare che le Brigate Rosse, essendo una frangia estremista, non erano «comuniste». Invece, trovavano proprio nel materialismo marxista, nella rivoluzione del proletariato, la giustificazione alle loro azioni. E nel “brigatismo moderato”, cioè il Partito Comunista e non solo, l’acquiescenza sufficiente a svilupparsi tanto da poter colpire al cuore dello Stato. Il passo che manca all’Islam è il riconoscere che queste violenze non nascono per caso, non sono perpetrate da squilibrati. Hanno un loro fondamento ideologico. Islamico.

Mario Adinolfi, sempre a La Gabbia, ha chiesto ai suoi interlocutori di fede islamica se condannassero a pieno l’Isis, Boko Aram e la Sharia che lapida le donne in Pakistan come una erronea interpretazione dell’Islam: non ha ricevuto chiara risposta. I vari ospiti presenti in studio hanno aggirato l’ostacolo, hanno fatto melina. Questo lascia interdetti. E fa pensare che ancora sia lontano il momento in cui l’intero arcipelago dell’islam moderato comprenderà che per estirpare le frange estreme, quelle moderate devono tagliare ogni contatto, ogni falsa giustificazione del tipo «in Pakistan ci sarà la Sharia, ma in Italia c’è il femminicidio». Questa è una visuale ristretta sulla realtà umana: il male nel mondo esiste e gli omicidi pure, ma quando questi diventano sistematici, legati ad un pensiero, ammanettati ad una religione, allora diventano pericolosi. Perché possono farsi sistema, magari Stato, magari legge.

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È innegabile, inoltre, che nelle moschee italiane ed europee abbiano il permesso di predicare anche imam radicali, liberi di incitare alla violenza e reclutare soldati. Lo dimostrano le inchieste, le condanne e le notizie che trapelano dai servizi segreti. Bilal Bosnic, imam arrestato in Bosnia ed accusato di essere un reclutatore, ha potuto predicare a Bergamo ed in altre città italiane. Questo è il cordone ombelicale che deve essere tagliato.

Inoltre, è necessario che la comunità riconosca il terrorismo un problema interno, e lo condanni. Come ha chiesto papa Francesco ai capi islamici ad Istanbul: «in quanto capi religiosi vi è l’obbligo di denunciare tutte le violazioni della dignità e dei diritti umani». E come, a suo modo, ammoniva Ratzinger nel famoso discorso di Ratisbona, in cui sosteneva l’importanza di far coesistere esperienza religiosa e ragione, così da comprendere che «la violenza è in contrasto con la natura di Dio e la natura dell’anima». Anche se a chiamare alle armi fosse Maometto.

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