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19 April 2024

Autonomia scolastica: bene o male?

Autonomia scolastica: bene o male?

Riceviamo e pubblichiamo l’articolo dell’amico e collaboratore Franco Di Pede.

Autonomia è una delle parole chiave della “buona scuola” di Matteo Renzi. Cosa si intendente però per autonomia?  Questa politica scolastica esiste in Italia dal 1999 introdotta dal ministro Berlinguer. Allora perchè la scuola italiana dovrebbe essere più autonoma e, soprattutto, quali sono i pregi e i difetti di una scuola autonoma? Secondo il documento “la buona scuola” per “realizzare pienamente l’autonomia scolastica” bisognerebbe affidare “ai presidi la governance della scuola”. Pertanto, nel puntare su una certa autonomia sembra che l’Italia voglia seguire il sistema scolastico britannico. Infatti, la scuola inglese ha subito cambiamenti radicali dopo le politiche conservatrici del governo di Margaret Thatcher. La svolta educativa inglese di stampo liberale  (una delle prime insieme a quella svedese del 1975) prevedeva che gli istituti fossero dotati di una consistente indipendenza economica che gli avrebbe permesso di attuare politiche scolastiche vantaggiose a seconda delle comunità nelle quali si trovavano. Con l’ LMS (Local Management of Schools) contenuto nell’ Education Reform Act del 1988 l’economia degli istituti passava dalle autorità e istituzioni locali all’amministrazione e al preside di ogni singola scuola. Con questa Marketization of the school l’istituto diventava una azienda, il consiglio scolastico la sua amministrazione e il preside il manager. Nascevano così le prime forme di competizione fra pubblic schools, le scuole iniziavano a spendere soldi per propria pubblicità e si vedevano i primi slogan. Nel corso degli anni queste politiche si sono perfezionate e al giorno d’oggi sembra che la cosa più importante delle scuole inglesi sia la competizione fra loro. Grandi cifre di denaro vengono spese in pubblicità ogni anno e, spesso, fuori dagli istituti vengono esposte a lettere cubitali le varie eccellenze e percentuali di  A* -il voto massimo che uno studente può raggiungere-. I docenti insegnano agli studenti che bisogna essere competitivi per tenere alta la reputazione della propria scuola e chi non si abitua, collezionando risultati negativi, viene espulso e costretto a frequentare “public schools” di serie B. La scuola italiana da tempo sembra avviata in questa direzione. Già adesso i nostri istituti partecipano a questa corsa a chi si accaparra più studenti ed un tale fenomeno si incrementa ogni anno. A novembre le televisioni locali mandano i primi spot pubblicitari sulle varie scuole e nelle piazze si intravedono i primi banchetti di rappresentanza. Vogliamo davvero che l’educazione pubblica vada in questa direzione? È giusto che la scuola assuma e trasmetta queste politiche imprenditoriali?

La Buona Scuola, di Marco de Rose

 vignetta di Marco De Rose: “Renzi consegna la scuola a Marchionne” (2014)

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